La storia dell’Arma di Artiglieria

Origini dell’artiglieria

Il termine artiglieria un tempo veniva usato per tutte le armi in grado di scagliare proiettili: l’ar­co, la fionda e i vari tipi di catapulta. Non appena, nel sec. XIII, venne introdotta in Europa la polvere nera, si co­minciarono a progettare macchine da guerra che la utilizzassero. La prima notizia della costruzione di pezzi di arti­glieria in Gran Bretagna risale al regno di Edoardo III (1327-1377), cioè a quando a John Ryker, artillator regis(artigliere del re) fu assegnato un compenso giornaliero di sei pence per costruire spingarde, un tipo di cannone leggero. Nel corso del sec. XV italiani e francesi cercarono di rendere l’artiglieria più mobile montando su carri alcuni dei pezzi più leggeri. Un miglioramento tecnico di grande importanza fu l’orecchione: due montanti, posti ai due estremi della canna, permettevano di sollevarla o abbassarla.

 

Secoli XVI e XVII

Durante il sec. XVI crebbero gli impieghi gli sviluppi dell’artiglieria. Nel 1509 il più giovane dei duchi di Ferrara usò l’artiglieria per distruggere la flotta del­la Repubblica di Venezia che aveva risalito il corso del Po giungendo a breve distanza dalla capitale del ducato. Enri­co Vili incoraggiò lo sviluppo dell’arte di fondere cannoni in Inghilterra, dopo essere stato costretto ad importarli da altri paesi. Nel 1537 il matematico italiano Niccolò Tarta­glia gettò le basi della scienza della balistica nel suo tratta­to Nova Scientia, in cui descrisse la traiettoria di una palla di cannone.

Lo svedese Gustavo Adolfo, più tardi re col nome di Gu­stavo 11(1594-1632), protagonista di numerose guerre, escogitò efficaci metodi tattici per l’impiego dell’artiglieria in battaglia. Gustavo limitò la sua artiglieria da campo a pezzi che sparavano proiettili non più pesanti di 12 libbre e aumentò il rapporto dei cannoni ai soldati di fanteria da 1:1000 a 6:1000. Inoltre, concentrò la sua potenza di fuo­co ammassando equamente le batterie ed utilizzò la distinzione tra artiglieria da assedio, da campo e da reggimento.

Quando l’impiego di eserciti regolari, che ebbe inizio in­torno al 1500, divenne generale, l’artiglieria diventò un cor­po organizzato del sistema militare. Luigi XIV di Francia or­ganizzò, nel 1670, un reggimento di artiglieria e istituì scuole di addestramento in questa specifica arma.

 

Secolo XVIII

Nel 1715 l’Inghilterra organizzò il Royal Regi­ment of Artillery, che era costituito da due compagnie in servizio permanente. Lo scienziato inglese Benjamin Robins gettò le basi della teoria e dell’impiego pratico dell’artiglie­ria moderna nel suo trattato New Principles of Gunnery (Nuovi principi di artiglieria), del 1742, e contribuì all’intro­duzione delle caronate (Cannoni corti e leggeri usati dalla Marina), nel 1779.

Durante la guerra dei Sette anni Federico il Grande di Prussia (1740-1786) istituì una artiglieria mobile, trainata da cavalli, che potesse accompagnare la sua cavalleria. La mo­bilità fu notevolmente aumentata aggiungendo una seconda coppia di ruote all’affusto, o ponendo sotto la parte poste­riore dell’affusto un carro a quattro ruote, con ruote intercambiabili e assali di ferro. Napoleone impiegò la sua arti­glieria da campo come arma d’urto, ponendo i cannoni da­vanti alla fanteria nemica per colpire con granate e colpi a mitraglia la fanteria nemica e aprire dei varchi nelle linee avversarie.

 

Secolo XIX

Nel corso del sec. XIX si ebbe una rapida evo­luzione del cannone. I miglioramenti più importanti si do­vettero all’introduzione della polvere senza fumo, all’uso della canna rigata, ai meccanismi di caricamento e di smor­zamento del rinculo, e alla disponibilità di materiali e tecni­che metallurgiche migliori. Durante la guerra di Secessione furono largamente impiegati i cannoni progettati da R. P. Parrot e da Thomas Rodman: il primo costruì un cannone circondando con cerchi di ferro battuto o di acciaio un tubo centrale di ghisa; il secondo ideò un metodo di fusio­ne delle canne attorno ad un’anima asportabile che era raf­freddata con acqua; ciascuno strato successivo si contraeva sul precedente e lo pressava.

Il tedesco Alfred Kruppprodusse un cannone interamente in acciaio ricavato da un unico blocco di metallo fuso, che ebbe un certo successo, ma presto ritornò al sistema del raf­forzamento mediante cerchi. Questi vennero sostituiti da avvolgimenti di innumerevoli giri di filo sottile, arrotolati sottotensione; si passò così ai cannoni fasciati da filo.

 

La storia dell’Artiglieria italiana

Il 30 luglio 1625, Carlo Emanuele di Savoia determinò che il personale dei Bombardieri, fino a quel momento riunito in corporazioni di mestieri, dovesse appartenere alla Milizia ed essere riunito in una apposita Compagnia. Tale data e provvedimento, possono considerarsi come il primo passo verso la costituzione dell’Arma. Bisogna però attendere fino al 27 agosto 1774 per avere sancita la costituzione del Corpo Reale di Artiglieria. Il Corpo, con decreto 6 gennaio 1815 a restaurazione avvenuta, viene ripartito in cinque categorie: a piedi d’ordinanza (Comando Generale, Stato Maggiore dei battaglioni, scuole e fabbriche), provinciale (per la mobilitazione), volante (per il servizio celere di campagna), reale di Sardegna e sedentaria (costituita da personale degli uffici). Nello stesso anno anche il traino dei pezzi e dei materiali diviene un servizio del Corpo con la costituzione del Treno d’Artiglieria. Nel 1848 la Artiglieria Sarda era costituita in artiglieria da battaglia, a cavallo e da posizione. L’evoluzione dell’Arma è continua e viene accentuata nel periodo risorgimentale oltre che dall’incorporazione nelle proprie fila delle artiglierie di altri stati preunitari, dalla evoluzione tecnica (canna rigata). Circa tre gruppi partecipano alla campagna di Crimea del 1855. L’Artiglieria partecipa a tutte le guerre risorgimentali e data la posizione arretrata difficilmente riesce a mettersi in mostra, se non per gli errori che eventualmente commette. La parcellizzazione dei reparti divisi in gruppi e batterie non concede lustro ai reggimenti, che ben figurano nel loro lavoro. Quando si ricorda una medaglia d’oro a Fanteria o altro corpo e specialità l’artigliere viene spesso accomunato nella gloria indistinta del valore. Sostanziali modifiche toccano la struttura del Corpo negli anni seguenti ma è il decreto del 17 giugno 1860 che riordina la struttura dell’artiglieria che ha incorporato batterie toscane ed emiliane: ha origine l’Arma di Artiglieria dell’Esercito Italiano (4 maggio 1861). Questa si compone di otto reggimenti di cui uno, il 1° di operai, il 2° 3° e 4° da piazza e dal 5° all’8° i reggimenti da campagna. La partecipazione alle campagne risorgimentali, l’adozione di nuovi mezzi ed il naturale potenziamento dell’Arma portano alla creazione di nuove specialità e reggimenti, come l’artiglieria da costa, da montagna, pesante campale e da fortezza. Per Regio decreto 23 dicembre 1909 viene concessa all’Arma la Bandiera di Guerra che verrà custodita dal Reggimento più anziano della Piazza di Roma.L’Arma si affaccia alla ribalta del primo conflitto mondiale con 49 reggimenti da campagna, uno a cavallo, 3 da montagna, 2 pesanti campali, 10 da fortezza, 18 batterie someggiate e tre sezioni contraerei. Le dotazioni e le fila sono insufficienti per il conflitto che va ad iniziare e che porta anche allo sviluppo della specialità controaerei ed al rilancio dei “bombardieri”, specialità assimilabile ai futuri piccoli mortai in uso per aprire varchi nei reticolati. Fino al 1917 la scuola Bombardieri era a Susegana.  In seguito, dopo la rotta di Caporetto, fu spostata a Sassuolo Modenese nel Palazzo Ducale, requisito tra il 1917 e il 1919 ed utilizzato anche come caserma di retrovia. Gran parte delle unità costituite per la Grande Guerra vengono soppresse nei primi anni venti.  Di fondamentale importanza erano gli osservatori al tiro di Artiglieria che si posizionavano in fortini sui principali rilievi montuosi, in aereo o in Pallone frenato.  Fra le varie specialità, citeremo l’Artiglieria a Cavallo, le mitiche voloire. Queste rappresentano le batterie che nell’ottocento, al seguito delle unità di cavalleria, sopravanzando le fanterie amiche, compivano azioni devastanti sulle prime linee avversarie. Il Reggimento “a Cavallo” di stanza a Milano, dotato ancora delle vecchie batterie per caroselli storici, erede di tanta gloria, porta sul chepì il fregio dell’Artiglieria completato da due sciabole incrociate poste sotto i cannoni.

La Bandiera dell’Arma è insignita delle seguenti decorazioni:

Medaglia d’Oro al Valor Militare – Decreto 31 luglio 1849 – Per l’ottima condotta tenuta sempre ed ovunque dall’Artiglieria (campagna 1849)

Medaglia d’Oro al Valor Militare – Decreto 19 gennaio 1913 –  Per la intrepidezza, la perizia e l’energia sempre e dovunque spiegate dall’Arma nella campagna di guerra in Libia 1911-12

Medaglia d’Oro al Valor Militare – Decreto 5 giugno 1920 – Sempre ed ovunque con abnegazione prodigò il suo valore, la sua perizia, il suo sangue, agevolando alla Fanteria, in meravigliosa gara  di eroismi, il travagliato cammino della vittoria per la grandezza della Patria. 1915-18.

 

Mostrine prima del 1940

Il colore antico dell’artiglieria era il giallo e con questo colore filettavano le divise. La mostrina moderna dell’artiglieria è composta da una Pipa nera bordata di giallo. Nel periodo in cui si portava nella divisa il collo nero (a sinistra), la mostrina della propria divisione veniva aggiunta al bavero.  L’artiglieria, come servizio tecnico e di supporto di fuoco, vive spesso della vita delle Grandi Unità di cui è elemento indispensabile. Per tale motivo ne adotta colori e fregi nella divisa (vedi alpini, paracadutisti, ecc). L’artiglieria delle Brigate sottopannava la Pipa coi colori della specialità. Dopo la guerra si è persa tale consuetudine, e la gran parte delle unità di Artiglieria hanno indossato la sola Pipa senza i colori aggiuntivi, ad eccezione della Brigata Granatieri, le truppe alpine, l’Artiglieria corazzata (dal 1° gennaio 2000 sarà la mostreggiatura dei reggimenti semoventi) e l’Artiglieria paracadutista.

 

L’Associazione Nazionale Artiglieri d’Italia

L’art. 1 dello statuto recita testualmente: “L’Associazione Nazionale Artiglieri d’Italia, eretta in Ente Morale con DPR 30 maggio 1953 n. 647, con sede in Roma Via Aureliana 25, s’identifica a tutti gli effetti con l’ex-Reggimento Artiglieri d’Italia “Damiano Chiesa” già Associazione Arma d’Artiglieria derivata dall’originaria Associazione Artiglieri “S. Barbara”, dei quali è la continuazione ed è costituita per unire in un unico organismo gli artiglieri in congedo e quelli in servizio quali componenti della stessa famiglia militari”.

Quali sono i fini associativi? Lo dice l’art. 2 dello stesso statuto: “L’Associazione è apolitica, senza fini di lucro e si propone i seguenti scopi:

  • mantenere e diffondere il culto dell’ideale di Patria;
  • esaltare le glorie e le tradizioni dell’Artiglieria italiana;
  • conservare ed incrementare la fraternità d’Armi tra tutti gli artiglieri in servizio ed in congedo;
  • rappresentare, nel quadro stabilito dalle leggi, i militari in congedo dell’Arma di Artiglieria, per tutelarne gli interessi morali e materiali”.

L’organo ufficiale dell’A.N.Art.I. è “L’Artigliere” che si pubblica con tale denominazione di testata dal 1934.

 

Gli artiglieri in provincia di Belluno

Alcune tracce della presenza di sezioni periferiche dell’Associazione in provincia di Belluno si hanno proprio in riferimento a Damiano Chiesa che, nei primi decenni di vita della stessa Associazione, fu il punto più alto e famoso di riferimento.

Damiano Chiesa nacque a Rovereto di Vallagarina in provincia di Trento il 24 maggio 1894 ed aveva iniziato gli studi di ingegneria a Torino quando, allo scoppio della prima guerra mondiale, respinse l’invito ad arruolarsi nell’esercito austroungarico e andò volontario nel 6° Reggimento Artiglieria di fortezza (poi denominato 1° Rgt. Artiglieria pesante). In seguito, sotto falso nome, fu sottotenente al 9° Reggimento Artiglieria di fortezza (poi denominato 5° Artiglieria pesante).

Per qualche mese in prima linea, fu catturato dagli austroungarici durante un’offensiva in Val Lagarina, fu processato, condannato a morte e fucilato come traditore il 19 maggio 1916 nella fortezza del Buonconsiglio a Trento.

Una foto dei primissimi anni ’30 rappresenta un gruppo di artiglieri in congedo, alcuni con il cappello dell’artiglieria alpina, scattata a Feltre. Nel labaro tricolore con la croce sabauda si legge chiaramente “Sottosezione Damiano Chiesa”.

Il 17 ottobre 1934 la madre dell’eroe trentino, Teresina, fece dono alla sezione di Belluno, sorta nel 1932, di un bel ritratto fotografico del figlio con un’affettuosa dedica agli artiglieri bellunesi.

Tra i primi decorati della cui medaglia si fregiò il vessillo sezionale fu anche Giuseppe Frescura di Domegge, licenziato con la qualifica di elettromeccanico alla Regia Scuola Industriale di Belluno nel 1912, tenente di artiglieria, caduto sul Monte Grappa il 15 giugno 1918 e decorato al valore alla memoria.

Il 16 novembre 1943 la madre di Giuseppe Frescura, Cecilia Giacomelli, fece dono alla sezione di Belluno di un bel ritratto fotografico del figlio con un’affettuosa dedica agli artiglieri bellunesi.

La sezione provinciale di Belluno fu ricostituita nel 1954, ovvero dopo pochi mesi dall’erezione in ente morale dell’Associazione Nazionale: erano quelli i mesi di Trieste.

La sezione fu intitolata ad Angelo Dal Fabbro, nato a S. Pietro di Barbozza in provincia di Treviso nel 1915 e diplomato perito edile nel 1935 al Regio Istituto Tecnico Industriale di Belluno.

Nella seconda guerra mondiale ricoprì il grado di tenente in servizio permanente effettivo nel 24° Raggruppamento Artiglieria di Corpo d’Armata.

Comandante di una batteria da 105/28, fu destinato al fronte marmarico per una logorante guerra nel deserto libico in quaranta giorni di aspri combattimenti, dal 18 novembre al 20 dicembre 1941, nel corso dei quali egli resistette da eroe alle preponderanti forze nemiche e cadde, gravemente colpito, in mezzo ai suoi artiglieri in località El Carruba.

Il 21 gennaio 1947 gli fu conferita la medaglia d’oro al valor militare alla memoria con la seguente motivazione:

Comandante di batteria da 105/28, con opera assidua e capace faceva del suo reparto un organismo solido nel campo morale e operativo e sapeva preparare i suoi artiglieri ai più duri cimenti.

Distintosi durante un lungo periodo operativo, veniva assegnato con la sua batteria ad una colonna corazzata operante nel deserto. In quaranta giorni di aspri continui combattimenti rifulsero le sue doti morali e la sua capacità militare.

Sempre pronto ad entrare in azione con i suoi pezzi, infliggeva al nemico durissime perdite, stroncando i ripetuti attacchi dei suoi potenti mezzi corazzati. In critica situazione, ridotta la sua batteria a due pezzi, continuava le operazioni prodigandosi con l’esempio.

Sottoposto a lunga e violentissima azione del nemico, che sulle batterie dirigeva con precisione la schiacciante superiorità del suo fuoco, sempre calmo e sereno moltiplicò con la sua presenza l’efficacia dei pezzi. Gravemente colpito, cadeva da prode tra i suoi artiglieri”.

Altra medaglia d’oro appuntata sul labaro sezionale è quella del ten. col. Carlo Luigi Calbo, nato a Belluno il 24 dicembre 1898.

Nella seconda guerra mondiale fu comandante del Gruppo “Vicenza” del 2° Reggimento Artiglieria alpina della Divisione “Tridentina” e prese parte alla campagna di Russia.

Cadde in combattimento tra il 17 ed il 26 gennaio 1943 nella zona del medio Don.

A lui fu intitolata anche la caserma di S. Stefano di Cadore, per molti anni sede del Battaglione Alpini d’arresto “Val Cismon”.

Così lo ricorda Mario Dell’Eva:

Carlo Luigi Calbo nacque a Belluno il 24 dicembre 1898 e quindi conobbe l’esperienza della prima guerra mondiale, mentre diverrà una delle più belle figure di comandante nella seconda. Tenente colonnello di artiglieria da montagna, in servizio permanente effettivo, durante la campagna di Russia 1942/43 era comandante del Gruppo “Vicenza” del 2° Reggimento Artiglieria Alpina della Divisione Alpina Tridentina.

Scelse la carriera militare ben conscio che era non comoda e non facile, con le possibili tragiche incognite in caso di guerra. Infatti l’inumana ritirata del Corpo d’Armata Alpino e di tutte le altre divisioni impegnate sul fronte del Don, metteva fine alla sua vita di soldato, di uomo e di padre.

Dalla motivazione della concessione della medaglia d’oro al valor militare riporto solo poche significative frasi: “Dopo aver solidamente contribuito, col magistrale impegno delle sue batterie, all’esito vittorioso di ben undici battaglie nel gelo della steppa russa” si arrivo al tragico epilogo. “Quando le batterie divennero inerti per forza di eventi” gli artiglieri divennero alpini combattenti e si lanciarono all’assalto, per rompere l’ultimo accerchiamento di forze nemiche tanto superiori per uomini e mezzi, verso la Patria lontana, verso le loro case.

E a Nikolajewtka si levò quel grido alto del generale Reverberi: “TRIDENTINA AVANTI” che fu la scintilla che decise la salvezza di quello che rimaneva del nostro corpo di spedizione.

Carlo Calbo “venne colpito da una pallottola nemica e, serenamente come era vissuto, donava la sua vita alla Patria”. Ma i suoi artiglieri lo caricarono su una slitta e lo portarono fuori della sacca per una degna sepoltura.

E possiamo ben affermare che alla memoria di Carlo Calbo, come davanti agli Alpini: Giù il cappello!

Dopo la ricostituzione della sezione provinciale del 1954, altri fatti associativi seguenti portarono alla costituzione della sezione di Ponte nelle Alpi nel 1969 e di quella di Trichiana nel 1976.

Dal 1954 in poi la sezione provinciale di Belluno fu presieduta dal col. Luigi Ricci, già ufficiale della Divisione “Pusteria” sul fronte occidentale agli inizi della seconda guerra mondiale.

In seguito la presidenza fu assunta dal maggiore di complemento Tullio Bridda, già tenente comandante di una batteria del 9° Reggimento Artiglieria pesante campale che combattè a Sciacca, sul fronte occidentale siciliano, dal 1940 al 1943. Fatto prigioniero dagli angloamericani nel luglio 1943, fu prigioniero in Algeria e fece ritorno a Belluno nel giugno del 1945 con il grado di primo capitano.

Dal 1979 ad oggi la sezione provinciale di Belluno fu presieduta da Francesco Licini, Guido Zavarise, Giovanni Testolini, Ubaldo Mitrio ed attualmente dal 1° capitano Costante Fontana.

Molti iscritti hanno militato negli organici di reggimenti di varie specialità dell’Arma di Artiglieria, ma si può senza dubbio affermare che la maggioranza proviene, per quanto riguarda i più anziani, dal 5° Reggimento Artiglieria Alpina della Divisione “Pusteria” comprendente i Gruppi “Lanzo” e “Belluno”, costituito nel 1935, passato alla Brigata “Orobica” nel 1953, sciolto nel 1975, riapparso nel 1992 con il Gruppo “Bergamo” nella Brigata “Tridentina”.

Ai caduti in guerra del 5° Reggimento Artiglieria Alpina , come si sa, è dedicato il rifugio-sacrario sul Col Visentin, voluto dal gen. Antonio Norcen, veneziano di nascita e bellunese d’adozione, che aveva comandato il reggimento sin dal 1937 dopo il rientro dalla guerra d’Etiopia.

Invece, per chi ha svolto il servizio militare in tempo di pace, la maggioranza degli iscritti, tra gli artiglieri alpini, proviene dal 6° Reggimento Artiglieria da montagna che vide la luce nel 1942 in Montenegro come 6° Reggimento Artiglieria alpina e fu ricostituito nel 1953 quasi contestualmente alla nascita della Brigata Alpina “Cadore”. Fu poi sciolto nel 1975, riapparendo nel 1992 con il Gruppo “Lanzo” e scomparendo definitivamente nel 1995.

Un’ultima annotazione a margine delle celebrazioni per il cinquantesimo di ricostituzione della sezione provinciale di Belluno dell’Associazione Nazionale Artiglieri d’Italia.

Con l’occasione lo scultore Massimo Facchin, tra l’altro autore del monumento presso il quale ci ritroviamo quest’oggi, ha realizzato una significativa litografia riproducente S. Barbara nell’atto di otturare con la mano una bocca di cannone, mentre ai suoi piedi giacciono i simboli nefasti delle conseguenze della guerra.

E’ un monito che vale la pena di considerare in tutto il suo profondo significato.